Love harder by Barbara Stefanelli

Love harder by Barbara Stefanelli

autore:Barbara Stefanelli [Stefanelli, Barbara]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2023-12-15T00:00:00+00:00


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Aida

Aida Rostami chiama casa. Chiede alla madre: «Serve niente per cena? Esco ora dall’ospedale». Ha trentasei anni, orfana di padre da quando ne aveva dieci, si è laureata in Medicina in una famiglia – la mamma e Armin, il fratello minore – che ogni giorno ha fatto il tifo per la sua indipendenza e la sua ambizione.

In Iran, dal 1979, c’è stato un aumento di dottoresse del 332 per cento. Lei, Aida, ha onorato il suo giuramento all’indomani del terremoto a Kermanshah del 2017: si è presa qualche giorno ed è andata nella regione disastrata a offrirsi come volontaria per curare i bambini. Anche la sera del 12 dicembre 2022 Aida ha qualcosa da fare prima di rientrare, un altro servizio offerto alla comunità. Fuori orario. E fuori dal radar dei controlli, almeno questa è la speranza.

Saluta i colleghi del Chamran Hospital. Si è segnata mentalmente gli indirizzi di alcuni manifestanti rimasti feriti negli ultimi giorni di proteste a Ekbatan, zona ovest di Teheran. Quando esce dall’abitazione del primo, le servono garze sterili e disinfettanti, prende la strada della farmacia più vicina. Non arriverà mai al portone del secondo. Cominciano a cercarla tutti: i parenti, i colleghi di reparto, alcuni dei pazienti. È una notte lunghissima, già disperata. Tutti pensano: l’hanno rapita, torturata, picchiata. Avranno voluto punirla per il sostegno agli studenti feriti. O perché non ha fatto il nome di altri e altre come lei, impegnati nella rete clandestina. Sicuramente non avrà voluto rivelare i luoghi dove in città vengono passati sottobanco medicinali e tranquillanti, ricucite e disinfettate le ferite, a volte sistemate fratture e tentate operazioni d’emergenza. Sono sempre di più i reduci dagli scontri in strada, dai pestaggi e dai proiettili di gomma sparati in faccia, che evitano i punti di soccorso pubblici: sanno che lì, ormai, agenti in borghese o travestiti da infermieri perlustrano i corridoi, si infilano nelle stanze e si segnano il numero del letto dei sospettati per portarseli via prima delle dimissioni.

La mattina dopo la scomparsa, il 13 dicembre, una telefonata avverte che «i familiari più stretti» sono convocati alla stazione di polizia. C’è una lettera. È la comunicazione della morte di Aida Rostami, accompagnata dall’invito ad andare all’obitorio a recuperarne il cadavere per seppellirlo.

Un primo referto del medico legale attribuisce la causa a «un colpo inferto con un oggetto pesante». Qualcuno ci ha provato, a non mentire. Ma qual è «l’oggetto pesante»? Un bastone? Il manganello dei paramilitari basij, la milizia di volontari senza divisa? Presto si mette in moto la controinformazione. Sulla scena del delitto fa il suo ingresso un improbabile «incidente d’auto». Madre e fratello vorrebbero far esaminare il corpo, per poter riconoscere i segni dell’«incidente». Metà faccia è schiacciata, Aida ha un’orbita svuotata e ricucita, entrambe le mani rotte, la parte bassa del tronco coperta di ecchimosi. Come può succederti tutto questo, con tanta precisione, se vai a sbattere mentre stai guidando? Come fa un occhio a balzarti fuori dalla testa? Incalzano i familiari. E chiedono: «Ora lasciateci vedere l’auto, portateci dove è successo, dove l’avete trovata».



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